La dura vita di un clandestino nel sogno americano.
Storia di Eligio Pizzorno.

Testo di Stefano Lanza

Calice Ligure 10 Gennaio 1903 - ????

Pur di sfuggire alla grande povertà propria e della famiglia a Calice Ligure decide di fare “un passo estremo”, disertare dall’imbarco su una nave mercantile e divenire a tutti gli effetti un immigrato clandestino negli Stati Uniti. Tutte le scelte fatte, almeno nei primi trent’anni,  risultano sbagliate, costringendolo ad una vita miserrima fatta di peregrinazioni, cambi di lavoro e residenze, umiliazioni, prostrazione e risentimenti. Solo al termine della vita riesce, finalmente, a trovare un minimo di tranquillità e serenità.

Eligio Pizzorno nasce a Calice Ligure, in provincia di Savona, il 10 gennaio 1903.
La sua è la storia drammatica di un immigrato clandestino negli Stati Uniti d’America che, per sfuggire alla povertà in Italia, va incontro alla miseria nel “Paese delle Grandi Opportunità”, ma oramai prossimo a divenire il “Paese della Grande Depressione”.
Dalle sue missive non emerge la figura di un uomo sconfitto, piuttosto quella di un disilluso, di chi, lasciati gli affetti familiari ed i rapporti sociali consolidati nel paese di origine, trova la solitudine, l’emarginazione, la discriminazione, il razzismo ove invece sperava di trovare inclusione, integrazione ed un minimo di benessere per se stesso e per i cari lasciati in Patria.
Eligio Pizzorno sbarca a Filadelfia il 2 Settembre 1926, anno che vede la città ospitare l’Esposizione Universale per i 150 anni della Dichiarazione di Indipendenza.
La prima meta di Eligio è Chester, cittadina a pochi chilometri da Filadelfia, nello stato della Pennsylvania ed anch’essa adagiata sul fiume Delawere, dalla quale comunica, con una lettera alle sorelle del 22 Ottobre 1926,  di aver trovato una abitazione lungo la strada principale. L’anno successivo, in una cartolina del 31 Ottobre 1927 inviata al fratello ferroviere e scritta in un buon inglese, lo troviamo già a New York; la permanenza in quella metropoli deve essere durata almeno fino al 1932 quando, in una lettera per la mamma e le sorelle del 10 Marzo 1932, comunica loro il suo nuovo indirizzo e le condizioni di estrema miseria in cui versa per mancanza di lavoro,  evidenziando inoltre grande sofferenza per i trattamenti di cui è fatto oggetto, atteggiamenti razzisti che gli impediscono perfino di poter usufruire, in quanto clandestino, delle mense dei poveri.
Una lettera del 21 Luglio 1938 indirizzata alla mamma ed alle sorelle ci fa ritrovare Eligio nel Delawere, nella città di Wilmington; l’economia americana sembra migliorare nonostante la disoccupazione ancora molto alta ed il nostro emigrante inizia ad interessarsi degli affari lasciati in sospeso in Italia, oltre a preoccuparsi per la salute della mamma. Risentimenti verso il fratello, soprannominato “l’Inglese”, fanno intendere i motivi  della brusca interruzione nella corrispondenza con lui.
Negli anni a venire la cartolina natalizia del 10 Novembre 1947 per la mamma Emma Cappa, ma soprattutto le lettere del 22 Giugno 1960 e del 6 Settembre 1962 per la sorella Angiolina Pizzorno, sempre provenienti da Willington, rappresentano la raggiunta stabilità abitativa e lavorativa, una graduale scalata di Eligio verso  l’integrazione ed ad un seppur modesto benessere, il tutto però contraddistinto da sentimenti rancorosi verso gli americani per le sofferenze subite nel passato.
Le lettere coprono un periodo di oltre quarant’anni e l’epistolario ha come principali destinatari la mamma e le sorelle e ci narra di un uomo che ha impiegato più di trent’anni per raggiungere un minimo di indipendenza economica, con passi commoventi come quelli della lettera del 22 Giugno 1960 in cui dice alla mamma “lavoro alla officina 40 ore alla settimana, il resto della settimana lavoro alla casa, se la vedesti, è una bella casa ma richiede molto lavoro…”.
Da poco tempo può anche permettersi di mandare dei vaglia con denaro ai suoi cari a Calice Ligure.  
Eligio Pizzorno è quasi un personaggio omerico nelle sue peregrinazioni e sofferenze per poter raggiungere la propria Itaca, rappresenta metaforicamente la beffardaggine della vita che vede le disgrazie aggiungersi a disgrazie soprattutto nei confronti dei più deboli e dei più derelitti.  Volendo descriverlo credo che le parole adatte siano “un uomo di buoni sentimenti verso la famiglia e gli amici, incattivito da una vita che gli ha regalato solo lacrime e sangue, il quale, per conquistare il suo piccolo paradiso, ha dovuto attraversare tantissimi inferni”.

 

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